CASE ABUSIVE: UN PROBLEMA SENZA SOLUZIONE

Uno dei problemi sempre attuali della Campania è l’abusivismo edilizio.

Ville costruite in una notte, terrazzi che diventano appartamenti, interi complessi costruiti in quartieri periferici senza ombra di autorizzazione, aree protette che subiscono l’edificazione di palazzine o alberghi. Si è costruito perfino sul Vesuvio che è riconosciuto mondialmente come uno dei siti a più alto rischio sismico ed eruttivo.

Le norme attualmente in vigore prevedrebbero l’abbattimento degli edifici abusivi ma, all’interno dei vari governi che si succedono da sempre, ci sono sempre fronde che tendono alla sanatoria creando una continua impasse che incoraggia i costruttori senza permessi a perseverare nella loro opera criminale.

Secondo Legambiente, nella sola Campania sono stati censiti 175mila immobili abusivi collocandola al primo posto nazionale.

Fermo restando che abbattere un immobile abusivo non è una facoltà, ma un obbligo di legge è opportuno fare delle considerazioni partendo dalla tenuta in conto del numero di occupanti di questi immobili abusivi.

Abbattere una singola abitazione abusiva significa dover ricollocare, mediamente, 5 persone; abbattere tutto in maniera indiscriminata significherebbe togliere il tetto a circa 80mila famiglie (diverse centinaia di migliaia di persone) creando un gravissimo problema sociale.

Le problematiche da affrontare sarebbero numerose:

Dove ricollocare gli ex occupanti?

I bambini, in caso di ricollocazione, come si reinseriscono nel nuovo tessuto sociale che li accoglierà?

Dove stoccare le macerie delle demolizioni di 175mila immobili abusivi?

Ci sono i fondi per abbattere tutto?

In America, nel 2008 (periodo di crisi mondiale), fu creata un’espressione riferita alle banche salvate dall’intervento dello stato: “too big to fail” (troppo grande per fallire).

In Italia possiamo parafrasare il concetto riportandolo all’abusivismo: il fenomeno è talmente vasto che ormai è praticamente impossibile risolverlo senza un serio coinvolgimento attivo dello Stato.

A parere di chi scrive, la soluzione ottimale prevede il semplice utilizzo del buon senso; uno Stato che con la sua assenza ha permesso lo sviluppo di questo scempio non può all’improvviso voltare pagina e dedicarsi alla “pulizia etnica”.

Si parta dagli immobili costruiti con indirizzo imprenditoriale e non abitativo (alberghi, ristoranti, garage) e da quelli pericolanti o costruiti in zone a forte rischio idrogeologico dove il problema di ricollocazione dei nuclei famigliari cede il passo alla prioritaria salvaguardia delle loro vite; si passi poi agli abusi perpetrati in zone costiere ed in aree protette o sottoposte a vincolo ambientale e paesaggistico per arrivare, in ultimo, alle abitazioni non principali ed a quelle principali (di necessità) laddove impossibile effettuarvi, solo per questi due ultimi casi, una sanatoria.

Tutto questo, abbinato ad un’opportuna velocizzazione dell’istituto delle sanzioni, creerebbe quella gradualità utile allo Stato per gestire, soprattutto mediaticamente, in maniera più agevole il problema e creare strutture alternative dove ricollocare la popolazione: case popolari alle quali accedere tramite una graduatoria credibile.

Si dovrebbe investire nelle periferie e rivalutarle puntando sull’architettonica, creando parchi e non ghetti.

Purtroppo, tutte queste sono chiacchiere. L’abusivismo è un fenomeno talmente vasto che abbraccia ed alimenta troppi ambiti (politico, sociale, economico, malavitoso) per essere risolto.

È fin troppo scontato che, nonostante i proclami, gli unici che si vedranno abbattuta la casa saranno quei pochissimi poverini che, non avendo santi in paradiso, verranno individuati come vittime sacrificali da dare in pasto all’opinione pubblica a testimonianza della presenza dello Stato e del suo “solerte” intervento contro il malaffare.

Intanto, gli amici degli amici occupano, spensierati, abitazioni abusive, magari con vista Colosseo…

Pasquale Rovito

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