
Lì, dove riposa da 266 anni un Cristo velato, lì dove il tempo non è scandito da alcun orologio, ma solo dai passi dei tanti curiosi, lì dove il ritratto del Principe ci scruta da lontano, lì in quella cappella maestosa, la Cappella Sansevero, ricomincia il nostro viaggio nel tempo e nello spazio. Ed è proprio da quel Cristo che ripartiamo. Posizionato nel centro della struttura, è una statua marmorea costruita da Giuseppe Sanmartino nel 1753.
L’opera fece innamorare persino Antonio Canova il quale dichiarò che avrebbe ceduto volentieri dieci anni della sua vita pur di esserne l’autore. Sanmartino fu incaricato di creare il Cristo morto ricoperto da un velo e disteso su un materasso marmoreo.
La statua riproduce le grandezze naturali di un corpo umano.
La meraviglia di una riproduzione perfetta, anche troppo, rompe il muro che separa realtà e immaginazione.
La statua è immobile e tranquilla, ma il corpo è travagliato dalle sofferenze vissute prima di morire. È distesa: il petto gonfio, la testa poggiata sul cuscino, le mani che seguono il corpo, i piedi rigidi, le piaghe dei chiodi che sono poggiati, insieme alla corona di spine, il martello e la spugna imbevuta di fiele, su un marmoreo strapunto.
La passione di Cristo, attraverso questa statua, viene rappresentata perfettamente nel momento in cui ha già trapassato e distrutto quel corpo, inerme, ormai morto che ha vissuto il dolore disumano e razionalmente inconcepibile fino a pochi attimi prima; che ha vissuto una sofferenza tanto profonda da manifestarsi anche negli occhi, ormai socchiusi, ma ancora stracolmi di dolore.
Il corpo del Cristo è coperto da un velo la cui resa lascia stupito chi lo ammira. Il velo, così reale, così leggero, è anch’esso costruito nel marmo. Esso è protagonista di una leggenda che riguarda Raimondo Di Sangro, committente dell’ opera, il quale avrebbe insegnato allo scultore la calcificazione del tessuto in cristalli di marmo.

Giuseppe Sanmartino avrebbe in realtà lavorato su un unico blocco di marmo. In un documento, datato 16 dicembre 1752 custodito dall’Archivio Storico del Banco di Napoli, è riportato un acconto di cinquanta ducati destinato all’ artista napoletano, firmato da Raimondo di Sangro. Nel contratto, è scritto: “E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagarete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo”.
Il Cristo custodisce un messaggio voluto dal Principe e relativo alla massoneria, così come abbiamo raccontato nell’articolo precedente La misteriosa simbologia massonica della Cappella Sansevero. Esso è di una sconvolgente bellezza. Si dice che il committente, fosse così geloso delle sue opere e delle mani dotate dello scultore che le creò, da accecare quest’ultimo per evitare che potesse riprodurre altre opere d’arte della stessa bellezza per altri committenti.
Il velo più affascinante resta sempre quello che veste la storia del principe, un velo di mistero che ricopre un grande genio. È facile amare, odiare, ammirare, questa grande e geniale personalità. La bellezza e lo sgomento si fondono in ogni storia a lui legata. Solo visitando la Cappella è possibile comprendere e provare come fascino e terrore, per i miti anche crudeli che sono spesso legati alla struttura e a ciò che contiene, riescano a convivere insieme, a complementarsi come due amanti, da più di 200 anni.
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