L’origine (pagana) della Pasqua e della sua simbologia

di Giovanni Abbatangelo

Come ogni anno, le festività pasquali stanno per iniziare. Il mondo cristiano si prepara a gioire in ricordo della resurrezione di Gesù Cristo, le famiglie sono pronte a riunirsi per consumare prelibatezze di ogni tipo e i bambini già scalpitano per le sorprese che troveranno nelle uova di cioccolato. Questi rituali sembrano esistere da sempre, consolidati nei decenni grazie all’autorità morale e sociale della Chiesa, prima, e della pervasività dei mass media come la TV e la carta stampata, poi. Ma vi siete mai chiesti da dove trae origine la Pasqua?

Per rispondere a questa domanda, occorre scavare tra le antichissime tradizioni precristiane legate alla fertilità e all’arrivo della primavera. Già nell’antica Grecia, infatti, era diffuso il culto di Persefone, figlia di Demetra e Zeus, rapita da Ade, dio dell’oltretomba, da tempo innamorato di lei. Quando Zeus mandò il messaggero Ermes negli inferi per recuperare la fanciulla, Ade decise di lasciarla andare, ma riuscì a fare in modo che Persefone tornasse nel regno dei morti ogni anno. Nei sei mesi dell’anno in cui la ragazza sarebbe stata insieme ad Ade, nel mondo avrebbe regnato il freddo e la natura si sarebbe addormentata, mentre nei sei mesi in cui Persefone sarebbe stata sulla terra, la natura sarebbe rifiorita. E il periodo pasquale segnava proprio il ritorno della ragazza tra i vivi, simboleggiando il rinascere della vita dopo il lungo inverno.

Il “Ratto di Proserpina/Persefone” rappresentato da Luca Giordano, 1685

Vari popoli hanno tramandato miti e leggende legate al ritorno della bella stagione. Analizzando il termine inglese “Easter” non si può non pensare ad un’altra divinità pagana, la dea “Eostre”, anch’essa legata ai culti primaverili e festeggiata nel periodo dell’equinozio di primavera. Il nome della dea potrebbe provenire da “Est”, segnando un evidente collegamento con il sorgere del Sole, la cui luce è portatrice di fertilità. Il mito narra che la dea Eostre, al termine dell’inverno, scendeva sulla terra sotto forma di una bella ragazza con un cesto di uova colorate, accompagnata da un coniglio magico che donava nuova vita alle piante. La bellezza di Eostre, il coniglio, le uova, il risveglio della natura: sono tutti simboli di rinascita e ritorno alla vita rimasti ancora oggi, ai tempi della Pasqua “postmoderna”, seppur svuotati completamente del significato originario.

La festa, diffusa presso tutti i popoli anglosassoni, era conosciuta anche in Grecia con il nome di “Estia”, e successivamente celebrata a Roma durante i rituali in onore di “Vesta”, la dea del focolare domestico, venerata in ogni casa. Le sue sacerdotesse, le famose “vestali”, avevano il compito di custodire il fuoco sacro alla dea mantenuto acceso nel suo tempio, facendo sì che non si spegnesse mai. Ancora una volta, è evidente il simbolismo legato al calore e all’energia vitale.

Con l’avvento del mondo cristiano-cattolico, l’abbinamento tra la rinascita della vita e la resurrezione di Gesù, avvenuta anch’essa in primavera, fu quasi immediato, e altresì gli antichi simboli legati ai culti propiziatori e al ciclo delle stagioni non tardarono a trasformarsi nelle basi iconografiche della Pasqua cattolica. La Chiesa, così come ha sostituito la simbologia natalizia ai riti del solstizio d’inverno, ha convertito le funzioni svolte durante l’equinozio di primavera nei misteri pasquali.

Ad esempio, i “sepolcri”, realizzati il Venerdì Santo facendo germogliare piccole spighe di grano, orzo, piante e fiori, non sono nient’altro che piccoli giardini che simboleggiano la rinascita della vita a partire dalla morte, rappresentata dal sepolcro in cui Cristo venne seppellito dopo la crocifissione.

La simbologia dell’agnello, invece, ha a che fare con la volontà dell’uomo di nutrirsi dell’animale sacro in cui la divinità si personifica. Il sacrificio animale è stato praticato per millenni da tutte le culture arcaiche con l’intento di celebrare l’abbondanza e propiziare la benevolenza della divinità, e così come l’uomo antico era convinto che mangiando della sua carne avrebbe “ottenuto” una parte di divinità, l’uomo cattolico crede che cibarsi dell’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo gli conferirà una nuova vita, libera da ogni male.

L’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo

Il simbolo più rappresentativo della Pasqua nel mondo intero è senza dubbi l’uovo, sulle nostre tavole da secoli prima che l’industria dolciaria iniziasse a produrlo e commercializzarlo in serie sotto forma di cioccolato e iniziasse a riempirlo di “sorprese” e giocattolini di plastica pensati per i più piccini. Ma tralasciando per un attimo il potere di costruzione simbolica di cui il Capitale è oggi dotato, è evidente che l’uovo, come simbolo misterioso, che sotto il guscio nasconde una potentissima fonte di vita e sacralità, ha origini che si perdono nell’alba dei tempi. Gli antichi pensavano che le uova avessero dei poteri speciali: ad esempio, venivano portate in grembo dalle donne gravide per scoprire il sesso del nascituro, oppure interrate nelle fondamenta degli edifici come buon auspicio (i più curiosi troveranno interessante la storia della fondazione del “Castel dell’Ovo” di Napoli…).

Le uova, con l’avvento del Cristianesimo, persero la loro secolare associazione con la primavera e la nascita, e divennero anch’esse simbolo della resurrezione di Gesù Cristo, tornato a nuova vita uscendo dal suo sepolcro così come il pulcino giunge al mondo uscendo dall’uovo. E la tradizione di donare uova non è affatto recente: accadeva già durante le celebrazioni in onore della dea germanica Eostre, ed esistono tracce nei libri contabili del re Edoardo I di Inghilterra, che regnò tra il XIX e il XIV secolo, di un acquisto di 450 uova d’oro.

Le uova di cioccolato sono un simbolo della Pasqua moderna

L’industria alimentare si è appropriata anche della colomba, un altro simbolo squisitamente legato alla pasqua cristiana e citata svariate volte nella Bibbia. Nel libro della Genesi, al termine del Diluvio Universale, una colomba venne inviata da Noè fuori dall’arca per verificare se le acque si erano ritirate dalla terraferma, e tornò portando un ramoscello di ulivo a sancire la nuova alleanza tra Dio e l’Uomo. E nell’iconografica sacra, è proprio la colomba a rappresentare lo Spirito Santo, uno e trino con la figura di Dio e con quella di Gesù Cristo, risorto nel giorno di Pasqua. Oggi, la colomba ha quasi completamente perso il richiamo al significato originale, ed è immediatamente associata al dolce industriale consumato al termine del pranzo pasquale. “Sic transit gloria columbae”.

La colomba è il dolce tipico delle festività pasquali

La Pasqua, dunque, come gran parte delle nostre festività, cela dei significati legati non soltanto alla tradizione cattolica, e recupera, trasforma e tramanda miti antichi quanto l’umanità stessa. La sfida dell’uomo moderno, spesso incapace di riflettere sulle origini delle convenzioni in cui crede e dei comportamenti collettivi che compie, è quella di fermarsi a riflettere sulla nascita e l’evoluzione delle “consuetudini” che la società gli impone. La tradizione non va negata, ma compresa più a fondo, cercando di ricercare e comprendere le motivazioni che hanno spinto i nostri avi a sedimentare nei secoli alcuni rituali che ancora oggi influenzano, seppure non ne siamo ben consapevoli, la vita di noi tutti.

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