
Il Museo Della Follia si sviluppa in più sezioni, formando un itinerario di più di un centinaio di opere che sviscerano il tema della follia. Vittorio Sgarbi, curatore della mostra, è riuscito ad esprimere l’unicità delle menti folli, dei diversi, interpretati come meri individui. Un percorso introspettivo emozionate e talvolta angosciante con un retrogusto di profonda umanità.
“Entrate, ma non cercate un percorso, l’unica via è lo smarrimento”.
È questa la frase che dà il via al viaggio nel mondo della follia.
Lo smarrimento è da subito percepito con il contrasto che si crea con l’esterno barocco della sede, la Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, nel pieno del centro storico di Napoli.
Il tema della follia è affrontato in maniera eterogenea tra dipinti sculture istallazioni e fotografie, d’artisti come Francisco Goya, Francis Bacon, Antonio Mancini, Vincenzo Gemito, Antonio Ligabue, e ancora Lega e Pirandello fino all’arte originale di Maradona.
La mostra itinerante, Il Museo della Follia – da Goya a Bacon, è approdata nella città partenopea lo scorso dicembre con un nuovo sottotitolo, da Goya a Maradona, per omaggiare la città ospitante.
Il mito di Maradona non solo è rappresentato sotto forma di arte, con la fotografia del piede sinistro di Diego Armando Maradona, con l’intervento pittorico di Cesare Inzerillo, ma soprattutto di mera follia e genialità con le dieci lastre radiografiche di Gianni Lucchesi.
Napoli viene anche ricordata per la folklorica superstizione con l’esposizione del Corno Reale di Cesare Inzerillo.
Ad introdurre la mostra interattiva è la voce narrante di Alda Merini con La Terra Santa di Scheiwiller. Tra i primi dipinti esposti vi è La Strega di Michele Cammarano che sembra guardare il sandalo posto al fianco, accostamento che inizialmente smarrisce il visitatore. L’accostamento di oggetti si ripresenta nelle diverse stanze della mostra, fino alla Stanza dei ricordi di Cesare Inzerillo e Fabrizio Sclocchini: “Immagini, documenti, oggetti raccontano le condizioni umilianti e dolenti dell’alienazione.
Nulla di strano, nulla di specifico, tutto di doloroso.”
Il dolore umano, il disagio e l’indifferenza altrui sono narrati in maniera straordinaria da molti artisti, come “i luoghi”di Gino Sandri o nella stanza “Ospedali psichiatrici” con il documentario “I pazzi politici” di Giordano Bruno Guerri, sono bene raffigurati anche da Enrico Robusti in “In questo bar non si fa credito” o dai volti presenti in “Griglia” di Inzerillo.
Quasi al culmine della mostra compare in alto una citazione della Merini “Anche la follia merita i suoi applausi”, personalmente sono perfettamente d’accordo.
Dunque, non resta che fare un forte applauso al Museo della Follia.
Marina Palumbo
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