
La vita dell’ultimo degli extracomunitari è infinitamente più importante di qualsiasi accordo europeo.
Attesa questa ovvietà è opportuno astrarsi dai rispettivi credo politici e guardar le cose con occhio più freddo.
Il trattato di Dublino fa riferimento a profughi (gente in fuga da guerre); questi sono stimati nell’8% circa di quelli raccolti dalle varie navi (Ong, pescherecci, Guardia Costiera, etc), la restante parte è composta da migranti economici, ovvero, gente che, non soddisfatta delle condizioni in cui versa nel proprio paese, cerca miglior sorte altrove.
I fuggitivi da guerre e regimi ostili sono degni della massima accoglienza e se i flussi fossero stati composti soltanto da loro tutto questo trambusto non vi sarebbe; purtroppo sono parte infinitesimale di un totale e, pertanto, pagano il conto di una gestione scellerata che ha favorito l’ingresso incontrollato pregiudicando il loro giusto trattamento.
Una nazione, per poter non risolvere, ma almeno accollarsi i problemi di altre dovrebbe essere in grado di gestire i numerosi già presenti sul proprio suolo.
In Spagna hanno i muri di filo spinato al confine, in Francia li accolgono con l’esercito in assetto di guerra coi fucili puntati (e, di nascosto, ce li infiltrano alla frontiera alla spicciolata con furgoncini ed auto della polizia), a Malta ne hanno accolti circa 500 e sembra che siano gli unici ad aver fatto qualcosa, in Germania appena si è ventilata una discussione sui migranti stava cadendo il governo. E noi, dopo che per anni abbiamo accolto sul nostro territorio centinaia di migliaia di sbarcati, per il solo tentare di porre un freno, saremmo i razzisti?
Le navi, quando in acque italiane, sono sempre scortate, rifocillando e curando i passeggeri, proponendo lo sbarco per bambini e donne incinte. Cosa si dovrebbe fare di più?
L’Italia sta cercando di forzare l’Europa ad assumersi le responsabilità di un problema comune e comunitario. L’unica piccolissima differenza con gli altri paesi è che, invece di sparare addosso a questi poveracci, li accudisce.
Fa sorridere vedere questi sindaci che, ergendosi a paladini dei più deboli, gridano all’apertura dei porti. Sarebbero molto più credibili se, però, queste boutades le facessero lontano dall’approssimarsi di tornate elettorali e, soprattutto, se questi misericordiosi si fossero mai distinti, durante il loro mandato, per l’attenzione ai tantissimi disagiati già presenti sul territorio delle città da loro amministrate.
Poniamo il caso che si aprissero i porti: e poi?
Nelle condizioni in cui siamo, se questi poveri disgraziati sbarcassero cosa succederebbe?
Troverebbero un lavoro, una casa, la felicità? Troverebbero quelle opportunità che cercano? Almeno avrebbero la dignità che gli spetta?
La storia del corridoio umanitario è chiaramente una balla, considerato che tutti i confini delle altre nazioni sono chiusi, pertanto, le uniche destinazioni, a parte qualche centro di accoglienza saturo nel quale verrebbero ammassati e dimenticati, sono le stazioni dove dormire, ubriachi, pisciati addosso e senza assistenza medica. Per le donne la sorte sarebbe anche peggiore: prostituzione sfruttata dalla malavita.
La triste realtà, con buona pace di quelli che si riempiono la bocca con la parola “accoglienza”, è che in Italia l’unica prospettiva è finire a fare i barboni alcolizzati, i malavitosi, gli elemosinanti, le prostitute o, se proprio gli dovesse andare bene, i raccoglitori nei campi a 4 soldi.
Accade in determinate zone che questi poveracci, prede di avidi proprietari, riempiano appartamenti del tutto privi di mobili, elettricità e acqua, dormendo per terra anche in 20 in una singola stanza, senza potersi lavare o scaldare. A lungo andare si è creato un tale affollamento in questi quartieri da renderli roccaforti dove anche le forze dell’ordine hanno difficoltà ad entrare.
Se in una comunità si introducono stranieri a poco alla volta questi si integrano; se, invece, si permettono flussi sproporzionati avviene esattamente il contrario: l’unione fa la forza e chi se ne frega dell’integrazione. A lungo andare questi poveracci, versando in condizioni molto peggiori di come stavano al loro paese, maturano frustrazioni, disprezzo e rabbia che prima o poi viene sfogata.
Sono sempre più all’ordine del giorno episodi di violenza nei confronti di poveri cittadini ed allo stesso ordine del giorno episodi di rivalsa dei cittadini ormai succubi.
Si grida al razzismo. La verità è che quello a cui assistiamo in questi giorni non ha nulla a che vedere col razzismo: è semplicemente malessere.
Un termine divide, l’altro unirebbe tutti contro il vero nemico comune che non è Salvini o il razzismo (qualche patetico usa “fascismo”), bensì quelli che pilotano quanto accade per utili personali approfittando della nostra remissività.
Un’altra verità è che chi grida al razzismo è ben lontano dagli ambienti in cui si verificano certi accadimenti. Utilizzare il termine “razzismo” è cattiveria pura. Non avendo argomenti ci si appella agli slogan per catalizzare l’attenzione delle masse pecorone. Ma questo ormai è, si spera, l’ultimo rantolo di un partito malato terminale che ha fatto dell’extracomunitario una merce sulla quale fare un vergognoso business miliardario.
Il termine “razzismo” attecchisce nelle menti delle persone pigre che delegano agli altri la gestione della questione diventandone complici.
Sarebbe utile che tutti quelli che sono così netti nel giudizio incomincino ad affrancarsi da chi approfitta della loro “permeabilità”; invece di chiamarlo razzismo chiamiamolo incazzatura.
Se il 90% di questi poveretti non è in pericolo di vita, perché non aiutarli a casa loro creando strutture lì? I costi di gestione delle Ong (tra acquisto della nave, carburante, manutenzione, stipendi, viveri etc etc) potrebbero essere dirottati in opere nel loro paese. Creiamo ricchezza nel continente già più ricco del mondo.
Se i nostri giovani vanno a cercare fortuna altrove, i politici italiani in tv si dannano per la fuga di cervelli. Quindi solo i cervelli italiani è un peccato se fuggono?
Soros, invece di spendere capitali infiniti per portarli in Europa, perché con gli stessi soldi non investe costruendo una bella fabbrichetta lì? Danaro ed amicizie ne ha e in Africa, oltretutto, sembra che qualche risorsa ci sia…
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